Attraverso l'utilizzo dei dati 2020 della Rilevazione sulle forze di lavoro (anno segnato dalle ripercussioni sociali prodotte dalla pandemia da COVID-19), emerge che, al forte calo occupazionale riscontrato, si è associata la diminuzione dei disoccupati e l'incremento degli inattivi. In questo scenario, la ricerca di lavoro è stata prevalentemente affidata a canali di natura informale: il 77,5% delle persone si è rivolto a parenti, amici e conoscenti, in diminuzione rispetto a quello dell’anno precedente (81,9% nel 2019). Molto più contenuta l'incidenza di coloro che si sono rivolti ai CPI (16,2% rispetto al 22% nel 2019). Si tratta di una quota pari alla metà di quella mediana rilevata a livello EU (42,5%). Coloro che si rivolgono ai CPI sono in prevalenza nelle Regioni del Nord (22,7% contro l’11,7% del Mezzogiorno), soprattutto ex-occupati e inattivi con almeno un’esperienza di lavoro. Questo gap si riduce, di poco, considerando anche il ricorso alle Agenzie di intermediazione: nel 2020 si è rivolto a tali strutture il 10% delle persone (19,5% nel Nord e 4% nel Mezzogiorno), una quota pari alla metà di quella europea (21,3%), più elevata di quella riscontrata in Svezia (6,8%), ma inferiore a quella della Germania (17,2%), della Francia (31,9%) e della Spagna (29,1%). La rilevazione fa poi emergere che il ricorso alle APL sembra motivato dai risultati migliori in termini di esiti occupazionali, rispetto ai CPI. A queste ultime strutture, la maggior parte dell’utenza si rivolge invece per rinnovare la DID o confermare lo stato di disoccupazione (50,5%).