Il quadro economico e sociale dell'Italia è caratterizzato dagli effetti negativi determinati dall'emergenza sanitaria da COVID-19, ma anche dai primi segnali di ripresa. Nel primo caso di è trattato di un crollo del PIL dell'8,9%, tuttavia con successiva stabilizzazione dell'attività produttiva, grazie ai buoni andamenti di settori quali il manifatturiero e le costruzioni. Complessivamente, le previsioni ISTAT indicano per il 2021 una ripresa complessiva delle attività, dei consumi e degli investimenti, grazie anche al sostegno offerto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con una crescita del PIL di circa 4,8 punti percentuali. Tra le evidenze emerse nel rapporto, la crisi ha impattato anche sul mercato del lavoro, con un calo del tasso di occupazione principalmente dovuto alla flessione dei dipendenti a termine e dei lavoratori autonomi: nel mese di aprile 2021, gli occupati risultano in diminuzione di oltre 800 mila unità rispetto ai periodi pre-crisi. La contrazione dei posti di lavoro è risultata accompagnata a un calo della disoccupazione e all'aumento dell'inattività, ma nella fase recente di moderato recupero occupazionale emerge un ritorno alla ricerca di occasioni di impiego. Gli effetti della pandemia sono stati evidenti soprattutto per i settori a prevalenza femminile, anche se, successivamente alla marcata diminuzione dell'occupazione delle donne, queste ultime hanno maggiormente beneficiato del recupero. La ripresa riscontrata tra febbraio e aprile 2021 ha riguardato solo l'occupazione a tempo determinato, mentre sono continuati a diminuire sia i dipendenti a tempo indeterminato sia gli indipendenti. Complessivamente da febbraio 2020 i più penalizzati sono stati gli indipendenti, seguiti dai dipendenti a termine e da quelli a tempo indeterminato. La pandemia e la crisi economica da essa innescata hanno inoltre avuto e avranno conseguenze negative anche sulle diseguaglianze di età e territorio, per via di un capitale umano che sconta ancora un sostanziale divario rispetto al resto dell'Unione europea. Il ritardo dell'istruzione è infatti determinato da bassi tassi di ingresso nell'istruzione terziaria ed universitaria, soprattutto in alcune aree del Paese, con rischi in materia di esclusione dal mercato del lavoro. In forte crescita purtroppo anche l'incidenza della povertà assoluta, con oltre 2 milioni di famiglie in tale condizione nel 2020 e con un incremento coerente con l'andamento delle spese, quindi nelle regioni del Nord.